sabato 7 giugno 2014

Acqua di mare trasformata in carburante per navi e aerei, miracolo rivoluzionario dell’US Navy?

La notizia da dell’incredibile, eppure è tutto vero. La famosa US Navy, grazie ai ricercatori della Divisione Tecnologia e Scienza dei Materiali del Naval Research Laboratory (NRL) è riuscita a trasformare l’acqua di mare in carburante. “Si tratta del raggiungimento di una pietra miliare”, afferma il Viceammiraglio Philip Cullom.

COME FUNZIONA
Il funzionamento del rivoluzionario processo consiste nel separare anidride carbonica e idrogeno dall’acqua di mare grazie al passaggio forzato con una cella elettrificata (E-CEM). Al passaggi dell’acqua, si cambiano gli ioni idrogeno prodotti al livello dell’anodo con ioni sodio, che consentono quindi il processo di acidificazione. Nel catodo, invece, l’acqua viene trasformata a gas idrogeno formando idrossido di sodio, producendo quindi idrogeno e anidride carbonica. L’idrossido di sodio viene poi reinserito nell’acqua di mare per eliminare l’acidità. Successivamente, i sottoprodotti attraversano una camera di reazione riscaldata con l’aggiunta di un catalizzatore ferroso. A quel punto i gas interagiscono tra loro creando idrocarburi insaturi a catena lunga e metano che vengono infine trasformati in molecole da sei a nove atomi di carbonio. Il carburante viene accolto con un catalizzatore al nichel

Dall’Olanda una diga e una lezione per la Venezia e l’Italia di ieri e di oggi.

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La fase più delicata dei lavori per la diga sulla Schelda è stata la posa dei piloni. La foto documenta l’inizio dell’operazione: il battello Ostrea si sta avvicinando al pilone che afferrerà con le gru al centro.
Per 66 volte hanno sollevato un pilastro alto come un palazzo di dieci piani e pesante come 20 mila automobili e l’hanno posato a 30 metri di profondità sul fondo del mare, sopra un rettangolo di 25 metri per 50, con lo scarto massimo di 25 centimetri, una spanna. E, dato che l’acqua di questo mare non è calma, ma segue il lunatico andirivieni delle maree con correnti che hanno una velocità massima di nove chilometri all’ora, hanno trasportato e posato ogni pilastro in un tempo preciso, 50 ore, senza sgarrare di un minuto, lavorando con un clima dall’umore instabile, capace di improvvise e devastanti tempeste [In una di queste morì… Michele Di Gennaro, l’unico comandante di mare che ha avuto il mio paese di Puglia, Trinitapoli, Ndr].
Roba da matti? No, roba da olandesi. Alla fine di ottobre 1984 hanno posato in mare l’ultimo dei 66 pilastri che formano la spina dorsale della grande Oosterschelde Stormvloedkering, la diga anti-tempeste della Scheldaorientale. Fra meno di un anno, sulla diga correranno le automobile e sotto, tra un pilastro e l’altro, 62 porte d’acciaio saranno pronte a interrompere ogni comunicazione tra il Mare del Nord e l’estuario della Schelda se i rapporti fra le loro onde dovessero divenire troppo turbolenti.
“It has a touch of genius to it”, dice Jos Geluk, 30 anni non ancora compiuti, ingegnere civile e infaticabile responsabile del servizio di informazione e documentazione del “progetto Delta”. C’è un tocco di genio in tutto ciò: ma è possibile dare un volto a questo genio?
La prima impressione per chi sale quassù a cercarlo è che il genio che ha vinto questa scommessa contro la furia degli elementi e, insieme, a favore dell’ambiente, sia un mostro che ha ben poco di umano. Ecco, ha la sagoma di un noto calcolatore di media potenza: il Pdp-11 della Digital, mescolata ai connotati del computer da tavolo della Hewlett-Packard. Lunghi cavi collegano il tutto a centri lontani, il centro di calcolo dell’università tecnica di Delft, il centro di calcolo della Ibm di Zoetermeer
Però, a guardar meglio, nascosto dietro la massa di cavi e di microprocessori, ecco apparire un volto indiscutibilmente umano, i capelli chiari di chi è stato biondissimo da bambino, gli 

L'arca di Noè era rotonda, secondo una tavoletta babilonese di 4 mila anni fa.


La recente decifrazione di una tavoletta di argilla proveniente dall’antica Mesopotamia di 4 mila anni fa rivela nuovi sorprendenti dettagli sulle origini del racconto biblico di Noè.

La tavoletta narra una storia simile a quella riportata nella Bibbia, completa di istruzioni dettagliate per la costruzione di una nave rotonda gigante, simile a una ‘coracle‘ e con l’indicazione chiave di salvare gli animali ‘a due a due’.

La tavoletta è da venerdì scorso in esposizione presso il British Museum, il cui curatore, Irving Finkel, è stato autore della traduzione del testo cuneiforme, raccogliendo le sue conclusioni in un libro dal titolo The Ark Before Noah.

Finkel ne è entrato in possesso un paio di anni fa, quando un uomo, Douglas Simmonds, gli ha mostrato una tavoletta danneggiata di argilla che suo padre aveva acquistato in Medio Oriente dopo la seconda guerra mondiale. Era marrone chiaro, delle dimensioni simili a quelle di un telefono cellulare e ricoperta di caratteri cuneiforme.

“Alla fine abbiamo capito che si tratta di uno dei più importanti documento umani mai scoperti”, ha detto Finkel, che sfoggia una lunga barba grigia, una coda di cavallo e l’entusiasmo di un ragazzo. “E’ stato davvero un momento da infarto scoprire che la barca del diluvio doveva essere rotonda. E’ stata una vera sorpresa”.

Secondo lo studioso, una barca rotonda ha perfettamente senso: “E’ una cosa perfetta”, spiega Finkel. “E’ leggera da trasportare e potenzialmente inaffondabile”. Inoltre, le coracli sono state ampiamente utilizzate in Mesopotamia come taxi fluviali e sono perfettamente in grado di affrontare la furia dell’acqua.

La tavoletta riporta le istruzioni fornite da parte di un dio mesopotamico per la costruzione della gigantesca imbarcazione dalle dimensioni pari a due terzi di un campo da calcio, costruita con tavole di legno, rinforzata con corda e rivestita di bitume. Il risultato è una coracle tradizionale, ma la più grande che il mondo avesse mai immaginato.

Come scrive lo stesso Finkel sul blog del British Museum, la superficie dell’imbarcazione sarebbe stata pari a circa 3600 m², con un’altezza pari a 6 metri. La quantità di corda richiesta riuscirebbe a coprire la distanza tra Londra e Edimburgo!

Certamente un’imbarcazione del genere non sarebbe potuta andare da nessuna parte. D’altra parte, tutto quello che doveva fare era galleggiare e mantenere al sicuro il suo contenuto: praticamente una scialuppa di salvataggio cosmica!

Ad ogni modo, per verificare se l’imbarcazione è realmente capace di galleggiare, Finkel ha formato una squadra con l’obiettivo di realizzare una versione in scala ridotta dell’Arca, seguendo meticolosamente le istruzioni riportate sulla tavoletta. L’impresa sarà mostrata in un film documentario che verrà trasmesso entro la fine del 2014 su Channel 4.

Finkel è consapevole che la sua scoperta potrebbe portare sconcerto tra i credenti nella storia biblica. Tuttavia, è noto fin dal 19° secolo che esistono racconti molto più antichi di quello contenuto nella Bibbia dove si parla di una grande inondazione, delle indicazioni date da dio a un uomo giusto per costruire una barca e salvare se stesso, la sua famiglia e tutti gli animali. La storia dell’alluvione ricorre negli scritti mesopotamici come l’Epopea di Gilgamesh.

Eppure, la tavoletta tradotta da Finkel, oltre ad essere di gran lunga più antica dei racconti biblici, è l’unica a contenere istruzioni dettagliare sulla sua costruzione. Lo studioso ritiene che gli ebrei abbiano mutuato la storia del diluvio durante l’esilio babilonese del 6° secolo a.C.

Il lavoro sulla tavoletta, inoltre, ha portato ad alcune domande impegnative: qual è la vera origine del racconto del diluvio? Come ha fatto a passare del cuneiforme all’ebraico biblico? Come funzionava davvero il cuneiforme? Insomma, la nuova scoperta ha dato man forte all’entusiasmo di Finkel che avrà di che studiare per i prossimi anni.

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